La nascita di Marghera Città Giardino

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Sai cosa vuol dire MAR GHE GERA? Leggi l’articolo “MARGHERA: alle radici del nome“.

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L’idea di creare un “porto sussidiario di Venezia” sulle barene dei Bottenighi, lanciata da Luciano Petit nel 1904, i cui lavori sarebbero iniziati qualche anno dopo con lo scavo di un canale rettilineo tra la Marittima e la terraferma e la costruzione del primo bacino nei pressi dell’attuale Fincantieri, contribuì presto a delineare nella mente del sindaco di Venezia Filippo Grimani la prospettiva della realizzazione della “Grande Venezia”.

bottenighi

La città era da tempo afflitta da mancanza di spazi e trasferire porto e industrie al di là della laguna poteva rivelarsi un buon motivo per crearvi accanto pure un “Quartiere Urbano” dove ospitare non solo gli operai delle industrie ma pure riversare quella parte di veneziani – per lo più proletari – che abitavano in piani terra umidi e malsani. La città avrebbe potuto così allargare i propri confini distribuendo pure le funzioni: alla parte storica l’arte e la cultura, alla terraferma l’industria e la residenza popolare, al Lido il divertimento e lo svago. Dar sfogo in terraferma alla crisi edilizia. Nei riguardi della terraferma l’intento venne pienamente spiegato da Piero Foscari, uno dei principali sponsor dell’operazione porto ai Bottenighi, durante l’acceso dibattito sulla costruzione del quartiere di Sant’Elena individuato, unitamente all’attuale Marghera e al Lido, come potenziale bacino per la costruzione di alloggi popolari, nel consiglio comunale del 3 febbraio 1911, affermando: «Bisogna spostare il porto per dare uno sfogo alla popolazione. Bisogna dunque affrontare al più presto il problema e poiché il porto in terraferma è un fatto quasi compiuto bisogna affrettare l’allargamento dei confini comunali».

E Giovanni Giuriati, una decina d’anni dopo, sul primo numero del settimanale San Marco (8/11/1923), avrebbe testualmente affermato: «Il quartiere urbano è stato creato sia per ospitare le maestranze del porto e delle industrie, sia per dare sfogo alla crisi edilizia ormai insuperabile nei limiti della Venezia antica». Venezia incorpora Mestre. Il Quartiere Urbano di Marghera non veniva perciò pensato esclusivamente come residenza degli operai del vicino porto industriale, ma come espansione della città di Venezia; per cui si rivelò necessario prima (1917) scorporare dal Comune di Mestre il territorio della frazione di Bottenigo e poi, dopo il progetto della seconda zona industriale predisposto dall’ingegner Enrico Coen Cagli sul finire del 1925, procedere addirittura all’incorporazione nel comune di Venezia dei territori dei comuni di Mestre, Favaro, Zelarino e Chirignago e della frazione di Malcontenta del comune di Mira (1926). Di tutto il territorio della frazione di Bottenigo aggregata a Venezia 150 ettari vennero riservati per la formazione del Quartiere Urbano, previsto sufficiente per una popolazione di 30.000 abitanti (si trattava grosso modo del triangolo che aveva come base la linea ferroviaria, come lati le attuali via Fratelli Bandiera e Beccaria e come vertice la chiesetta della Rana). Gli autoctoni: 869 contadini e ferrovieri.

Una rilevazione statistica del 31 dicembre 1916 calcolava i residenti nella frazione di Bottenigo in 869 unità, distribuite in 179 nuclei familiari, che occupavano un totale di 118 numeri civici. Erano per lo più famiglie patriarcali di contadini che curavano la terra coltivabile a frumento, mais e viti fin dove cominciava la barena e ferrovieri addetti al vicino scalo ferroviario, cresciuto a dismisura nei primi anni del decennio per venire incontro alle necessità di trasporto indotte dallo scalo portuale di Venezia e per la strategia dei comandi militari che aveva per tempo individuato in Mestre l’ultimo importante nodo ferroviario prima del fronte orientale.

città giardino emmer

Il piano regolatore venne redatto dall’ingegnere milanese Pietro Emilio Emmer e approvato dal governo il 6/2/1922. Nel piano generale degli espropri si decise di salvaguardare gli insediamenti di una antecedente presenza industriale lungo il lato meridionale della ferrovia: la fornace Della Giovanna, lo stabilimento chimico del vicentino Alessandro Cita, il deposito di legname di Agostino Scarpa e la fabbrica di pali iniettati di Tranquillo Rossi. Il progetto di Emmer. Il quartiere urbano non venne perciò disegnato avendo come base la ferrovia – come sembrava logico – ma una nuova strada alberata (l’attuale via Paolucci), che ne fu disegnata parallelamente, dalla cui metà si dipartiva un grande viale adibito a giardino, verso cui convergevano a raggiera le strade da entrambi i lati per poi finire in un ampio piazzale elicoidale (l’attuale piazzale Concordia) sul quale avrebbero dovuto affacciarsi i vari servizi pubblici quali scuola, chiesa, municipio, ambulatorio, teatro (di fronte alla lenta crescita del quartiere la scuola, costruita nel 1925, fu fatta slittare verso la ferrovia mentre la chiesa con convento e patronato furono in seguito addirittura costruiti nel bel mezzo dell’asse centrale destinato a giardino). Le case non dovevano avere più di tre piani compreso il terreno, essere attorniate da terreno adibito a orto o giardino, recintate da muretta con ringhiera in ferro battuto. Villette “veneziane” e intervento pubblico. Durò meno di un decennio il sogno di realizzare una “città giardino” accanto alle fabbriche. Vennero subito i privati che fiutarono come un affare costruire una casa o aprire un’attività in una zona che si riteneva giustamente in forte espansione (Fedalto il macellaio, Rebuffi rubinetteria e attrezzi, Da Pian salumi, Paluello lavorazione droghe, Linassi molino, Bertoldo botteghe e alloggi, Pesce trattoria e alloggi, l’attuale “Casa Rossa” della finanza, alloggi).

mercato di marghera

Sorsero così le villette, ancora oggi facilmente individuabili, decorate con motivi ornamentali che richiamano la “storica” vicinanza con Venezia (archetti gotici o rinascimentali, motivi floreali).  All’inizio del 1924, risultavano essere già 50 le abitazioni costruite da privati. Fu assai lento invece l’intervento pubblico: l’Istituto autonomo per le Case popolari (Iacp) aveva individuato fin dal 1921 una serie di lotti dove erigere dei fabbricati plurifamiliari, da cedere in affitto a prezzi non modici, ma per la difficoltà di reperire i finanziamenti avrebbe potuto acquistarli solo nel 1924 e iniziare la costruzione l’anno seguente. Intanto su un paio di altri lotti si era mossa una Cooperativa Edile Ferroviaria che vi aveva eretto una serie di villette destinate a residenza di un numeroso gruppo di funzionari delle ferrovie che avevano sede d’ufficio in Venezia, dove non trovavano possibilità di alloggio. Bottegai, impiegati, tecnici…

la prima marghera inizi 900

E gli operai? Su un vecchio nucleo di contadini, destinato presto a sparire mano a mano che si estendeva l’urbanizzazione, si insediarono perciò bottegai, impiegati, tecnici: gli operai, nelle fabbriche che aprivano i battenti o allargavano progressivamente la propria attività, vi arrivavano in massima parte, e vi sarebbero arrivati a lungo, prima in bicicletta, poi in vespa o in seicento dalla vasta periferia di Mestre (da Oriago a Mirano, da Scorzè a Quarto d’Altino e fino a Ceggia). Stop al Prg di Emmer: una casa per tutti. I proletari, in primo luogo quelli espulsi da Venezia, arrivarono in numero consistente quando, esonerato Emmer che si ostinava tenacemente a difendere l’esecuzione del suo progetto e seguendo le indicazioni del duce che ordinò di sospendere le norme di piano regolatore perché si assicurasse comunque una casa a chi ne aveva bisogno, furono costruiti, all’inizio degli anni trenta, i primi “condomini popolari” nella zona di via Calvi (affermerà soddisfatto l’ingegnere dello Iacp Paolo Bertanza: «Al posto di alloggi a tre camere e cucina si sono ricavati alloggi da una camera e cucina in numero doppio»). Baracca con giardino. E la cosa non finì lì perché per dare una risposta ai numerosi sfollati o a quanti non trovavano di meglio che trovarsi come tetto il cavalcavia furono realizzati, tra il 1934 e il 1938, i tre villaggi di baracche/casette di Ca’ Emiliani, Ca’ Sabbioni e Ca’ Brentelle. Presentati come una risposta al benefico invito del “ritorno alla terra” proclamato dal duce, per i pochi metri quadrati di orto che gli abitanti delle baracche avevano a disposizione, i tre villaggi servirono anche come “controllo sociale” e costituiscono il triste punto di approdo della costruzione di un ideale Quartiere Urbano, punteggiato di villette e giardini.

Nel 1938 un povero su tre. La popolazione era salita a 1200 abitanti nel 1924, a 5376 nel 1927, a 7599 nel 1935 e a 10952 nel 1938. Contemporaneamente i poveri registrati dagli uffici comunali erano 527 nel 1931, 1024 nel 1934, 3373 nel 1938. Il sogno della realizzazione di una “città giardino” si era arenato di fronte alla miseria che continuava ad attanagliare una fetta consistente della popolazione della nuova “Grande Venezia”.

Testo di Sergio Barizza tratto da GENTE VENETA disponibile in formato PDF

 

Altri materiali storici sono disponibili su:

Le nuove vie di Porto Marghera

Album di Venezia – Mestre Novecento

Centro documentazione storia locale Marghera

Tabelle statistiche demografiche

N.B. questo articolo è stato pubblicato la prima volta qui il 18 giugno 2013

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